©La Fragilità può essere Distrutta

Anteprime del Libro


L’indice include le Anteprime dei Capitoli del libro. Clicca su un Capitolo per leggerne l’Anteprima.


CAP. 1 – Malattia e Occulto

(…) Se guardiamo ai concetti più nobili della scienza umana, come la filosofia e l’occulto, vedremo come essi abbiano un rapporto ambiguo con il concetto di malattia. La scienza umana, soprattutto quella delle antiche civiltà, ha sempre provato a spiegare i fenomeni naturali apparentemente surreali – come tempeste e terremoti – associando un evento, a un segno divino. (…) Il termine sintomo-σύμπτωμα (dal greco segno, evento) intende di fatto il segno di un evento manifesto: da questo aspetto, suppongo che la natura inspiegabile degli eventi naturali – ritenuti ultraterreni – nel corso del tempo abbia trovato spiegazione nella dimensione metafisica, così come taluni fenomeni psichici – ritenuti surreali – abbiano trovato la loro interpretazione, in qualcosa al di fuori di sé. (…)

CAP. 2 – Culto e Psiche

(…) Il potere dell’autorità religiosa del passato, e dell’autorità scientifica del presente, è chiaro essere proprio questo: una persona crederà in modo fermo a una teoria, a un dogma, a una diagnosi che attesti la propria condizione nel mondo e non importa se uno specialista gli diagnosticherà un “disturbo bipolare” e due mesi dopo un altro specialista gli attribuirà un “disturbo schizoide”, perché a quella data persona importerà unicamente di avere un «quadro di riferimento e un oggetto di devozione» come direbbe Fromm. Inevitabilmente, come quella persona nel tardo medioevo si sarebbe identificata in modo assoluto nelle dottrine della chiesa, nella società moderna si riconoscerà in modo assoluto nella natura occulta del sintomo: se lo scopo di queste dottrine, in quanto sinonimo di conoscenza, sarebbe quello di dare sicurezza (ma di fatto l’individuo, resta comunque infelice) potremmo affermare che la condizione per la felicità dell’individuo è uscire da quella che si dice “sicurezza”. (…)

CAP. 3 – Dualità e Normalità

(…) Vorrei introdurre ora, il relativismo del concetto moderno di “felicità” e del concetto di “sofferenza”. Cos’era la sofferenza prima di diventare un sintomo? E’ qualcosa che ritroviamo in natura o è qualcosa creata dall’uomo? E’ possibile leggerla al di là del suo costrutto razionale? Per comprendere il parallelismo sintomo-sentimento in relazione alla società, dobbiamo aprire una breve parentesi prima di introdurci nel discorso psicologico. (…) L’essere non aveva ancora eretto i sistemi difensivi dell’io determinati dalle scienze psicologiche, e aveva la possibilità di abbandonarsi all’esperienza spontanea dell’espressione della sofferenza. (…)

CAP. 4 – Timore dell’Angoscia

(…) Un maestro indiano, una volta disse: «molte persone vengono da me e chiedono: come posso controllare la mia mente?» e il maestro rispose alla persona sofferente: «ma perché diamine vuoi controllare la tua mente … vuoi liberare la tua mente?» chiese il maestro «o la vuoi controllare?» e l’altro rispose: «si, voglio liberarla, ma come controllarla?». Secondo questo principio, molto spesso crediamo che il concetto di guarigione psichica dipenda dalla volontà di controllo dei nostri sentimenti, e che la diagnosi possa darci un qualche sollievo nel dirci che noi siamo quello, e saremo sempre quello. (…) Talvolta il senso di insoddisfazione che sentiamo è costrizione; costrizione all’omologazione o all’accettazione di una situazione, che in un certo modo ci ricorda qualcosa che in passato abbiamo tollerato, e che oggi continuiamo a tollerare. (…) Il timore è laddove c’è controllo: definire le relazioni, le proprietà, le religioni, i sentimenti; quando decidiamo di controllare e definire le emozioni come sintomi, è lì che nasce la “malattia” mentale. (…)

CAP. 5 – Vuoto Emotivo e Vuoto Creativo

(…) Lo stato di sofferenza legato alla “dipendenza affettiva”, non sarebbe da intendere come uno “stato patologico”, bensì come un alibi psichico per impedirsi di amare (timore di amare). Poiché ognuno ha i propri timori, non mi sentirei di affermare che il “disturbo dipendente di personalità” sia un’entità diagnostica identica per tutti. Al contrario, sarà essenziale analizzare quel timore senza la possibilità di sfuggirgli: attraverso la subordinazione al partner, a un’ideologia autoritaria, che faccia dire con arresa: “sono questo, non posso farci niente”. Per questo motivo, vorrei spingere il lettore a riflettere più che sulla diagnosi, sulle proprie esigenze interiori, soppresse da un timore personale che non può essere indagato attraverso un manuale diagnostico uniforme per tutti. Molti disagi psichici con la loro “etichetta” determinano un alibi psichico: essere depressi significa occultare la propria felicità, in virtù della propria sicurezza (ad esempio economica), essere ansiosi significa reprimere i propri sentimenti di timore per omologarsi a un contesto forzatamente, e così via. (…) Laddove v’è vuoto, v’è l’inizio di qualcosa e la cancellazione del vecchio; il vuoto dunque non è dannoso, ma è sempre sinonimo di uno spazio dell’anima che può allontanare dagli altri, ma non da se stessi. (…)

CAP. 6 – Origine del Dogma

(…) Il merito del metodo di Freud è stato quello di aver definito la prima scienza dedita agli effetti “patogeni” dell’individuo a un livello pseudo-umanista. Nonostante ciò, dobbiamo tener presente che la psicoanalisi è stata sviluppata in un periodo di grande crisi sociale, durante la prima guerra mondiale e il nazismo. (…) L’idea del “malato” mentale nella nostra società è quella di un individuo sofferente che non riesce ad adattarsi, mentre l’idea di “salute” psichica risiede in un individuo sempre soddisfatto, e quindi sempre più conforme alle richieste sociali di consumismo, materialismo, perfezionismo. Il timore di andare contro ciò che è ritenuto normale, come abbiamo visto in diversi periodi storici, è anche nella civiltà moderna il principio dei principali disagi interiori, come anche l’origine del dogma. (…)

CAP. 7 – Dottrina del Sintomo

(…) Come affermava K. Popper «la scienza progredisce quando ci rendiamo conto che un certo modo di pensare la realtà è diventato obsoleto per l’attuale società». Se dunque l’ideologia di “malattia” ha visto le sue origini in questioni metafisiche e in periodi storici superati, dobbiamo ammettere che nella civiltà moderna non c’è spazio per la sua concezione astratta. Sarebbe necessaria, piuttosto, una riforma teosofica dello spirito, in linea agli aspetti del XXI secolo. (…) Finché non ritorna quel senso di vuoto, che sediamo con una nuova dipendenza, che ci dia un vago senso di individualità affermando: “Io sono” borderline. “Io sono” depressa. “Io sono” bipolare. Abbiamo un disperato bisogno di essere, vogliamo essere per qualcuno, essere importanti per gli altri, ed è evidente come questo bisogno sia più un desiderio comune di tutta l’umanità e non soltanto di coloro affetti da una “malattia” mentale. (…)

CAP. 8 – Patologia della Società

(…) Le differenze e le diversità, in forza della prevalenza autoritaria, sono stati un alibi per detenere potere, come le diagnosi psichiche sono un processo sociale ancora poco indagato, per controllare il “diverso” e “tenerlo buono lì”. D’altronde anche lo stigma specista sugli animali è un alibi per detenere potere sul più debole, e per dividere le specie (fomentando odio e stigma) sia dell’industria della macellazione animale che dei centri oncologici che curano le malattie, a essa annesse. La “malattia” psichica del nostro secolo è quindi l’avversione per la diversità, contrapposta ad uno sfrenato conformismo, accreditato come salute mentale. (…)

CAP. 9 – Essenza dello Stigma

(…) Un’altra personalità a cui potremmo far riferimento è Diana Spencer; entrare così precocemente in contatto con l’aspetto umano più fragile significa aver coltivato quel lato sensibile, che oggi giorno è più o meno raro. Si tratta di persone con un’infanzia dilaniata da eventi intensi, avverse a ogni forma di conformismo, la cui difficoltà ad integrarsi ha reso più semplice la volontà di definire, e poi accettare, l’etichetta psicopatologica. La personalità omologata, invece, in virtù del suo vissuto convenzionale, ha la capacità di adattarsi facilmente. Talvolta, per queste persone, è considerato normale approfittarsi degli altri, dato che tale comportamento è socialmente accettato. Al contrario, le personalità disadattate riescono a non conformarsi, difendendosi da questo vuoto socio-emotivo attraverso disparate maschere sociali, poi diagnosticate come “disturbi di personalità”. (…)

CAP. 10 – Indipendenza del Sé

(…) E’ importante dire che l’efficacia di questi assunti è stata possibile oltre che attraverso un’attenta comprensione e compassione di sé, anche grazie all’ausilio dell’imprescindibile lavoro del ricordo, che richiama alla memoria le sofferenze passate, non elaborate, non sviscerate e risolte. Se si vuole iniziare questo lavoro sin dall’inizio, la domanda da porsi è: “da quale indicibile sofferenza volevo fuggire in passato?” Inoltre, chiedersi: “come reagivo, a quella sofferenza? E come reagiva l’altro verso di me? Come avrei voluto reagisse?” Mettere sul tavolo questo, è basilare. Ma bisogna fare un appunto: non voglio dire che la colpa di ogni male sia dipesa da te ma è la reazione a questo dolore, sia esterno che interno, sia passato che presente, che determina il nostro stato d’animo. (…)

CAP. 11 – Essere ciò che si è

(…) Il dolore è quindi inteso, anche come abbandono di sé. Quell’angoscia necessaria che ci sovviene, è tanto utile quanto il sentore della fame, che ci spinge quando siamo vuoti fisicamente, tanto quanto lo siamo psichicamente. L’angoscia, la malinconia e la tristezza (elementi base della depressione) sarebbero perciò reazioni normali in relazione a una necessità di trasformazione, non di integrazione forzata. Da questo punto di vista, un “disturbo bipolare”, un “disturbo d’ansia” o una sindrome “borderline” altro non sarebbero che il tentativo di occultare quella trasformazione, dove alla base c’è il timore del cambiamento. (…)

Simone Capuano

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di Simone Capuano | Scrittore


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