
Pensandoci, il termine Via–gg–Io, significa andare “Via–dall–Io“. Lasciarsi andare, in senso astratto e figurato. Perdersi in un bosco, lasciare i legami e le sicurezze, prendere parte al mondo e al contempo alla propria solitudine.
La nostra società è costruita sulla costruzione di costrizioni. L’insieme di quelle costrizioni diventa l’Io, che è l’insieme delle nostre sicurezze, e insieme, dei nostri timori.
Evadere da queste costruzioni è la soluzione. Viviamo in un mondo costruito. Le città sono costruite, le strade sono costruite; così, in questo mondo costruito, le nostre convinzioni sono fragili e distruttibili.
Viaggiare, è un po’ l’analogia della perdita. Allontanarsi dal proprio ego, dalle “nostre” ineccepibili sicurezze, dalle “nostre” relazioni e dipendenze quotidiane. Dimenticarsene ed essere viandanti.
Lasciare l’Io, ed approdare all’altro.
“Nulla è nostro, tranne le cose essenziali”, asseriva Pavese.
Lo stupore di scoprire ciò che non è “nostro”, che si allontana dalle cattedrali dell’ego delle nostre società chiuse in sé, ci attende laddove accettiamo di perdere quel senso di appartenenza del “nostro” ego, per scoprire ciò che è dell “altro”.
E il timore in sé stessi, diventa lo stupore di scoprire l’altro.
Andare Via-dall-Io è metterci di fronte al tempo e alla fugacità della vita, dimenticando noi stessi. Perdersi, e allontanarsi dagli scopi senza scopo. Stare così, come le piante e gli alberi. E vivere solo per vivere.
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